L’arte è una forma di linguaggio non verbale che da sempre permette di esprimere emozioni e punti di vista sul mondo e che può suscitare in noi riflessioni e sensazioni anche intense.
Nei musei troviamo le più alte espressioni artistiche, ma anche nel nostro piccolo l’arte può diventare un mezzo per rilassarsi ed esprimersi: basti pensare alle situazioni in cui ascoltare della musica ci fa sentire meglio o ai momenti in cui ci viene spontaneo scarabocchiare un pezzo di carta per concentrarci o per scaricare la tensione. Tutti abbiamo una parte creativa e alcune persone mantengono un contatto con essa per lavoro o per hobby, ma nella maggior parte dei casi non abbiamo tempo oppure siamo fermamente convinti di non essere capaci di creare qualcosa.
I bambini sono di solito più abituati ad esprimersi usando colori, paste modellabili, costruzioni, ma anche inventando favole e canzoni. Crescendo di solito viene loro chiesto di dedicare maggiore tempo ad altre attività o di apprendere una qualche tecnica artistica. Ad esempio a scuola si insegna ai bambini a disegnare “bene”, spesso ad essere lodati sono i lavori più ordinati, allegri e realistici: i bambini possono convincersi precocemente di non essere capaci e talvolta davanti a un foglio bianco lamentano di non sapere cosa disegnare, faticando a lasciarsi andare spontaneamente. Da adulti poi usare materiale artistico può apparirci qualcosa di infantile, di inutile o di impossibile senza il possesso di adeguate conoscenze e abilità.
In realtà l’arte è prima di tutto uno strumento di espressione di sé e quindi possiamo provare ad abbandonarci al piacere di creare per creare: non dobbiamo dare vita a un prodotto esteticamente gradevole o tecnicamente perfetto, ma semplicemente lasciarci andare. L’arte ci aiuta infatti a connettere la nostra interiorità ed il mondo esterno. Ascoltarsi e riversare liberamente su un foglio forme, colori, immagini e parole ci aiuta di per sé a scaricare la tensione e ad attivare i nostri sensi. Possiamo poi osservare la nostra opera dall’esterno, in modo più distaccato, senza “psicanalizzare”, ma più semplicemente cogliendo le nostre sensazioni durante la creazione e individuando gli aspetti del prodotto che ci incuriosiscono o che ci ricordano qualcosa di noi e della nostra vita.
Disegnare, pitturare, colorare, comporre collage, usare la creta, scrivere e fare fotografie sono alcune azioni che possono aiutarci soprattutto nei periodi di confusione e stress o quanto accadono eventi importanti che non riusciamo magari a condividere ed esprimere a parole. L’arte infatti ci permette di “tirare fuori” ciò che abbiamo dentro in modo più immediato, di osservare dall’esterno e poi di riappropriarci di ciò che è nostro in una forma diversa.
Esercizi semplici ma molto utili in tal senso sono la costruzione di un diario visivo in cui tracciare quando ne sentiamo il bisogno opere grafiche del tutto spontanee oppure dedicare pochi minuti al giorno alla scrittura delle nostre sensazioni percettive ed emotive in quel momento. Riguardare anche a distanza di tempo ciò che si è prodotto è utile per cogliere i propri stati d’animo, per scoprire nuovi aspetti di sé e per rendersi conto che nonostante le difficoltà siamo sempre in cambiamento e andiamo avanti.
E anche quest’anno è arrivato Natale con il suo carico di luci, pacchetti, cibo, canzoncine e… articoli sulla depressione e su come sopravvivere allo stress!
Basta guardarsi in giro e fare un rapido sondaggio tra le nostre conoscenze: il Natale è una festa tanto amata quanto odiata, in grado di far emergere i sentimenti migliori ma anche i peggiori. Probabilmente questo accade perché il Natale ci costringe a fare i conti con i nodi irrisolti della nostra vita e delle nostre relazioni e con una serie di pressioni sociali e familiari.
Il piacere di stare in famiglia o anche da soli a fare qualcosa di rilassante, il piacere di donare qualcosa e di riceverlo, il piacere di passare un momento in cui si abbandonano le tensioni si traduce a volte in una specie di imperativo categorico dove proprio la dimensione del piacere si perde: non importa cosa sia accaduto fino al giorno prima, a Natale bisogna stare tutti insieme, bisogna farsi i regali, bisogna sorridere ed essere gentili. A colpi di “si deve” si rischia di indossare una maschera e di passare le feste in apnea, contando le ore che ci separano dalla libertà e sperando che non ci siano spiacevoli incidenti diplomatici. A volte poi crediamo noi per primi che ogni tensione, ogni maleducazione, ogni distanza debba magicamente sparire in virtù dello spirito natalizio, restandoci malissimo se questo non succede. Per questo può anche capitare di decidere di fare altro a Natale, stando lontani il più possibile da certe situazioni. Ma anche questa spesso più che una scelta serena diventa una reazione rabbiosa, pur sempre un “si deve” anche se auto-imposto.
L’idea di dover stare tutti insieme, anzi più precisamente tutti insieme in armonia, rischia di provocare nervosismi o tristezze: la vicinanza alle cose e alle persone importanti (nel bene e nel male) se non si traduce in giusta distanza rischia di provocare reazioni emotive molto intense. Ecco allora che iniziano a scoperchiarsi antichi vasi di Pandora fatti di tensioni, risentimenti, pretese e intrusioni varie nelle vite altrui.
A Natale cose apparentemente banali come la scelta del luogo in cui festeggiare, del menu, del regalo, di come disporre la tavola possono diventare fonte di stress e terreno di scontro perché finiscono per assumere potenti significati simbolici di cui non sempre ci rendiamo conto. A Natale persino una fetta di pandoro smette di essere solo una fetta di pandoro e può diventare uno stress, una misura della nostra bravura e ospitalità, un messaggio subliminale, che ci sia da parte nostra un’intenzione in tal senso o no: il tipo di pandoro scelto, il modo in cui l’abbiamo tagliato, le dimensioni della fetta, il modo di servirlo e l’ordine con cui lo porgiamo ai presenti possono acquisire i più svariati significati.
Il Natale con il suo stare insieme moltiplica il peso di chi manca, dei legami persi, della solitudine, di ciò che non si ha, di ciò che c’era e non c’è più. Si può perdere la voglia di festeggiare perché si è soli, perché manca una persona cara, perché prevale la stanchezza. Ci si può sentire in difetto perché manca qualcosa che gli altri hanno o che in teoria sarebbe considerato normale avere, che si tratti di un partner, dei figli o del lavoro. Qualcuno potrebbe sottolineare ancora di più la situazione con commenti o domande inopportune, che fanno male. Si può anche passare il tempo a ricordare come era bello il Natale in passato, mentre adesso tante cose si sono perdute.
Avvicinarsi al Natale senza un equilibrio interiore significa rischiare di dare tanto spazio ai sentimenti negativi da perdere in gran parte o completamente la dimensione del piacere e a trarne un danno siamo solo noi. Che gli aspetti spiacevoli siano oggettivi o che siamo noi a dare alle cose un’interpretazione negativa, in ogni caso rischiamo di rovinarci la giornata, di lasciarla passare in sordina privandoci di qualcosa, di causare scontri o di “abboccare” alle provocazioni altrui. Quasi assicurato il risultato: ancora più negatività, stomaco attorcigliato, forse anche rimpianto per quella che invece poteva essere una festa più serena.
Non che si debba per forza trovare qualcosa di bello nel Natale, ma siamo sicuri di volerci limitare a subirlo e a sopravvivere ad esso invece che a viverlo? Il Natale è un classico momento di crisi in cui la distruzione si accompagna alla potenzialità creativa. . Lo spirito natalizio è quella stabilità interiore che vi permette di scegliere dove, con chi e soprattutto come trascorrere questo periodo. Cercate la giusta distanza, dopotutto siete voi a decidere quanto peso dare a cose e persone e a scegliere come comportarvi e reagire nelle diverse circostanze! Non vi aspettate che qualcuno vi infonda magicamente dall’alto lo spirito natalizio, cercatelo dentro di voi e portatelo fuori da voi stessi: riscoprite il piacere delle piccole cose e abbiatene cura, proponete qualcosa di carino da fare insieme o qualche dettaglio o regalo divertente, riscoprite qualche vecchia tradizione e createne di nuove e se siete soli non rinunciate a prendervi cura di voi stessi e a fare qualcosa che vi piace, fosse anche stare su divano a leggere un libro contornati di lucine colorate. Buon Natale!
Qualche giorno fa sul Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo dal titolo “Milano non sa dormire. Contro stress e ansia in farmacia si vendono 100 sonniferi al minuto”
L’articolo riporta i dati di una ricerca condotta dalla società New Line ricerche di mercato, secondo la quale ogni giorno nella città di Milano vengono vendute 6100 confezioni di farmaci per dormire. Stiamo parlando di oltre 128 mila pillole o dosi di gocce acquistate in 24 ore. I sonniferi rappresenterebbero il 6% dei farmaci venduti ogni anno e a farne uso sarebbe l’11% della popolazione sopra i 18 anni. In realtà i dati sul numero di abitanti ci dicono che anche nelle altre città si fa un certo uso di farmaci per dormire: a Roma li utilizzerebbe il 12% della popolazione, a Torino il 13%, a Firenze il 14%, a Bologna il 15%.
Gli esperti intervistati affermano che stress e ansia sono la prima causa di insonnia e che i farmaci più utilizzati sono le benzodiazepine, cioè medicinali che andrebbero venduti solo dietro ricetta medica e che andrebbero utilizzati sotto controllo medico e per periodi di tempo limitati, poiché possono avere effetti collaterali e generare dipendenza.
Ora, l’esperienza in realtà ci dice che diverse persone usano questi farmaci per periodi di tempo molto prolungati, anche a vita, senza farsi monitorare da alcun professionista, ottenendoli talvolta anche senza ricetta medica, con il concreto rischio di sviluppare una dipendenza e senza risolvere il proprio problema. Quando il medico prescrive farmaci del genere solitamente le raccomandazioni sul loro uso o l’eventuale consiglio di intraprendere un percorso di supporto psicologico passano in secondo piano e non è affatto detto che vengano seguiti. Sebbene infatti in certi casi i farmaci siano utili e talvolta indispensabili, l’idea di poter mettere a tacere l’ansia e lo stress con una pillola o qualche goccia risponde proprio al tipo di società in cui siamo immersi: una società del fare, dove si va di fretta, dove i malesseri fisici e psichici vengono trattati come seccature o vergogne da eliminare perchè dobbiamo essere in forma e sorridenti e chi si ferma a guardarsi dentro e intorno rischia di perdersi nei propri baratri interiori o di sentire che tanto non c’è soluzione, provando ancora più infelicità e frustrazione.
Dunque preoccupa, ma non stupisce, che nell’articolo non si faccia il minimo accenno allo psicologo come figura che può essere di aiuto in situazioni simili e che invece si riporti l’opinione di un noto avvocato matrimonialista, il quale afferma: “Sono arrivato alla conclusione che per addormentarsi tranquillamente bisogna sempre pensare alle cose liete”.
Premesso che quando si parla di disturbi del sonno è sempre bene verificare che non vi siano alla base problematiche di tipo organico, certi “consigli” appaiono riduttivi e banalizzanti. E’ un po’ come confidare un periodo di difficoltà a un amico o a un familiare e sentirsi rispondere “non pensarci”, “passerà”, “sei solo stressato”, “ti lamenti sempre”, “sei troppo ansioso”, “non è nulla, sei esagerato”, “e cosa dovrei dire io allora?” e altre risposte di questo tenore che fanno ben intuire quanto certe difficoltà negli altri possano essere vissute con fastidio o appunto con ansia, tanto da essere liquidate in tal modo.
Ansia e stress sono qualcosa che noi tutti conosciamo, magari non siamo persone particolarmente soggette a questi vissuti, ma ci sarà capitato almeno una volta nella vita di provarli dentro di noi. Possiamo vivere momenti di stress tutto sommato circoscritti e temporanei, pensiamo ad esempio a un esame o a un impegno lavorativo particolare, ma anche eventi generalmente considerati gravosi come la perdita del lavoro, un trasferimento, un divorzio, una malattia, la perdita di una persona cara. Possiamo anche arrivare a vivere la maggior parte della nostra vita in ambienti stressogeni, pieni di pressioni, in cui non ci troviamo bene con gli altri, in cui ci viene chiesto troppo o non ci sentiamo valorizzati, in cui cerchiamo di conciliare tutto correndo qui e là come trottole impazzite, in cui vorremmo ma sentiamo di non potere. A volte l’ambiente stressogeno è dentro di noi, i conflitti interiori diventano tali da non farci godere niente del nostro quotidiano e non c’è esperienza rilassante che tenga. Concentrarsi sulle cose positive, così come imparare delle tecniche di rilassamento o avere alcuni accorgimenti prima di andare a dormire (ad esempio evitare attività troppo stimolanti per il cervello), può aiutarci a rilassarci nei momenti più critici, ma questo certamente non basta se non ci diamo anche il permesso di sentire l’ansia, di interrogarla, esplorarla, di capire come funziona.
Per gestire l’ansia dobbiamo imparare a conoscerla, altrimenti possiamo solo cercare di bloccarla, di estirparla come se fosse qualcosa di estraneo e disdicevole, ma l’ansia c’è per un motivo, dice qualcosa di noi e della nostra vita, ci parla, ci dice che qualcosa non torna, che dobbiamo prenderci cura di noi. Forse abbiamo paura di ascoltare, ma seppellirla sotto un mucchio di pensieri lieti o di pillole rischia di renderla più forte. I pensieri lieti, le esperienze positive, le piccole gioie non devono diventare il classico tappeto sotto cui nascondere la polvere, né corde a cui restare disperatamente aggrappati sperando che non si consumino – nè tantomeno limitarsi a ostentazioni di finto benessere – ma casomai i pioli di una scala che attentamente intrecciata ci aiuta a calarci nelle profondità di ciò che non va con meno paura, con l’obiettivo di fare chiarezza, accettare certe nostre fragilità e potenziare le nostre risorse, capendo cosa è in nostro potere cambiare e come per avere una qualità di vita migliore.