IL BAMBINO CON DISPRASSIA: RICONOSCERNE I SEGNALI PER INTERVENIRE
La DISPRASSIA è un disturbo evolutivo che colpisce la capacità di compiere gesti e azioni intenzionali finalizzati a un obiettivo. Si presenta principalmente attraverso la difficoltà nel coordinare i movimenti, che può comportare limitazioni in diversi aspetti della vita quotidiana, come vestirsi, lavarsi, allacciare le scarpe, fino a difficoltà di scrittura, lettura e comunicazione delle proprie emozioni attraverso i gesti. I bambini con disprassia faticano, infatti, a rappresentarsi, programmare ed eseguire gesti e movimenti tesi a uno scopo che normalmente si compiono in modo automatico e che invece in questi casi devono essere pensati e pianificati.
La difficoltà può esprimersi anche con una elevata sensibilità agli stimoli, come la luce, i rumori intensi, il tatto, nonchè con una particolare selettività nella scelta del cibo: sono, infatti, bambini che faticano a integrare gli stimoli a livello neurosensoriale.
La difficoltà a organizzare i movimenti delle mani e delle dita può portare a non riuscire a compiere gesti finalizzati all’uso di oggetti o gesti simbolici usati per comunicare e può essere inoltre presente ipotonia degli arti superiori.
Vi possono essere difficoltà di funzionamento dell’apparato fonatorio e oro facciale e nell’articolazione verbale, per cui il bambino può non sviluppare la capacità di parlare, dire poche parole o non riuscire ad articolarle bene.
Possono emergere inoltre disturbi percettivi, visuospaziali e difficoltà di attenzione, comportamento e apprendimento.
L’orgine del disturbo non è chiara. Sembrano entrare in gioco diversi fattori, in parte anche legati alla familiarità del disturbo e a difficoltà, anche lievi, durante la gravidanza e il parto o legati a prematurità e basso peso alla nascita.
La disprassia può essere generalizzata o colpire solo alcune particolari capacità (ad esempio il vestirsi, lo scrivere, il parlare, il camminare, ecc) e può essere in parte compensata dalla capacità del bambino di imparare nel tempo a compiere determinate azioni, che tuttavia vengono eseguite con lentezza.
Il disturbo è talvolta associato ad altre patologie, come la sindrome di Down, la sindrome di Williams, l’ADHD, i Disturbi pervasivi dello sviluppo. In altri casi, invece, non vi sono disturbi associati, nè segni neurologici evidenti e le capacità cognitive sono nella norma, ma possono emergere difficoltà emotive e comportamentali, poichè il bambino vive la frustrazione legata ai propri fallimenti scolastici o al non riuscire a svolgere determinati giochi o attività.
Per questo è importante riconoscere tempestivamente il problema e intervenire per consentire al bambino di recuperare e rinforzare le sue competenze.
A quali fattori di rischio prestare attenzione?
Nel primo anno di vita del bambino:
- Elevata irritabilità, difficoltà a trovare consolazione;
- Difficoltà di suzione, alimentazione, sonno;
- Difficoltà nei movimenti (cambiare posizione, afferrare oggetti col palmo della mano, manipolare gli oggetti);
- Difficoltà a coordinare lo sguardo;
- Ritardo nella comparsa del linguaggio, assenza di alcune fasi (lallazione, babbling);
- Ritardo nelle capacità motorie (gattorare, stare seduto, mettersi in piedi, camminare da solo);
- Attenzione rivolta agli oggetti molto breve.
In età prescolare:
- Iperattività motoria;
- Lentezza nello svolgere un qualunque compito e rinuncia in caso di difficoltà;
- Scarsa capacità di attenzione;
- Difficoltà nell’addormentarsi o nel sonno;
- Produzione non di parole ma di suoni isolati, difficoltà nell’articolare parole, produzione inferiore alle 50 parole verso i 2 anni;
- Difficoltà a seguire i ritmi e a coordinare i gesti con il ritmo di una canzone;
- Confusione tra le parole che indicano relazioni temporali;
- Numero di gesti limitato;
- Capacità di salire e scendere le scale solo se aiutato, difficoltà a scendere o saltare un gradino;
- Difficoltà nell’uso delle posate (viene imboccato o usa le dita), nello stare su un piede solo o in equilibrio sulle punte dei piedi, nell’uso delle forbici, nel pedalare sul triciclo, nei giochi che richiedono manualità fine (costruzioni, chiodini da infilare, travasi di acqua, puzzle), nella manipolazione e presa di oggetti;
- Braccia rigide o cadenti lungo i fianchi nel camminare;
- Difficoltà di socializzazione;
- Disegno solo a scarabocchi;
- Gioco simbolico (di finzione) assente o limitato.
In età scolare:
- Difficoltà di concentrazione e attenzione in classe;
- Difficoltà negli apprendimenti (soprattutto scrittura, lettura, matematica, elaborazione scritta di storie strutturate, difficoltà a copiare dalla lavagna);
- Difficoltà nell’eseguire compiti in classe se non seguito in un rapporto uno a uno;
- Lentezza nell’eseguire un compito;
- Difficoltà nei movimenti e nel disegno.
A chi rivolgersi? La valutazione del problema deve essere svolta in modo accurato e coinvolgendo diverse figure professionali (psicologo, neuropsichiatra infantile, logopedista, neuropsicomotricista, ecc) per garantire un intervento integrato e completo.
Spesso è il pediatra il primo professionista a cui ci si rivolge, dunque è importante che il medico sappia raccogliere tutte le informazioni utili ed effettuare una prima ipotesi diagnostica, in modo da indirizzare chi si prende cura del bambino a un approfondimento più mirato.
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